Aborto salino

Negli anni ’70 in tutti gli stati Uniti, l’aborto salino veniva praticato legalmente ed era ammesso durante tutti i nove mesi di gestazione. Era una particolare pratica abortiva che, solitamente, veniva impiegata nel periodo del secondo trimestre di gravidanza. Non sempre tale pratica raggiungeva il suo scopo, è noto, infatti, il caso di Gianna Jessen, nata in seguito ad aborto salino.

Aborto salino cos’è

Oggi, l’aborto salino è una pratica utilizzata raramente per gravidanze indesiderate, per via dell’estremo pericolo cui si espone la donna, nonché l’effettiva possibilità che si risolva in qualcosa di infruttuoso, come dimostrano molti casi. Uno dei più noti è quello di Gianne Jessen, ma non solo, ve ne sono anche altri avvenuti in Italia, ma di cui non si parla affatto. Tuttavia, negli anni 70 ed 80, gli aborti salini tardivi erano molto comuni negli Stati Uniti. Tale tipologia di aborti era generalmente praticata verso la fine del secondo trimestre e consiste nell’iniettare una soluzione salina caustica all’interno dell’utero della gestante, in modo tale che l’ustione avveleni il bimbo in grembo, per cui la donna partorirà un bambino morto.

Aborto salino tardivo

L’aborto salino tardivo, viene così definito in quanto praticato oltre la 21a settimana di gestazione. O, in ogni caso, durante il terzo trimestre di gestazione. La procedura è quella già indicata, per cui viene iniettata una soluzione, appunto, salina all’interno dell’utero della donna, al fine di uccidere il bambino in grembo che, pertanto, nascerà morto.

Aborto salino in Italia

Anche in Italia, suppure celati sotto mentiti casi di diagnosi non corrette di aborto o altro, vi sono casi di aborti salini mal riusciti. Nel ’99, infatti, viene abortito, presso un ospedale del pavese, un bimbo dopo 25 settimane di gestazione. Venne indicato come aborto terapeutico, giustificato come errore diagnostico in seguito ad ecografia. Si diede come giustificazione una sopravvenuta emorragia cerebrale, scambiata per un caso di idrocefalo, mentre, era assolutamente sano.

Successivamente, l’emorragia venne assorbita e il piccolo trasferito presso un’altra struttura, dove venne tenuto nascosto quanto accaduto, per i suoi futuri genitori adottivi. Non è solo questo il caso, poiché nel 2011 morì a 5 anni una bimba, abortita a 23 settimane di gestazione, poiché i genitori seppero che sarebbe nata cieca. La piccola sopravvisse all’aborto e fu data in affida ad una coppia , che si prese cura di lei insieme agli altri figli. La bimba, però, dopo cinque anni non fu in grado di sopravvivere a quel tentativo di aborto e morì.

Il caso di Gianna Jessen

Da tempo fa il giro del mondo per raccontare la sua storia di nascita nonostante il tentativo di ucciderla con aborto salino, la giovane Gianna Jessen. E’ lei stessa a raccontare come, per un miracolo divino, riuscì a salvarsi. Oggi ha poco più di 40 anni e racconta al mondo come, la madre biologica, incinta di sette mesi, decise di rivolgersi ad un ospedale della California del sud, dove le fu consigliato di eseguire un aborto salino tardivo. Vale a dire, effettuare l’iniezione di una soluzione di sale nell’utero della madre, che il feto ingoia per poi venir bruciato dentro e fuori, in modo tale che la madre possa partorirlo poi morto entro le 24 ore.

Gianna, rimase nella soluzione per circa 18 ore, ma venne partorita viva quel 6 aprile del 1977, in quella clinica per aborti della California, dove altre donne nella stanza avevano ricevuto le loro iniezioni ed aspettavano di partorire bambini morti. Quando Gianna venne alla luce viva, un’infermiera chiamò immediatamente un’ambulanza per farla trasferire in ospedale. Questo perché Gianna era arrivata in anticipo, mentre si aspettavano la sua morte solo alle 9 del mattino.

Rimase in ospedale per circa tre mesi. Non vi erano grandi speranze di sopravvivenza, poiché pesava solo nove etti, ma lottò per la vita, fino a quando non fu in grado di lasciare l’ospedale. Venne così data in adozione. Tuttavia, porta su di sé ancora i segni di quel che accadde, poiché a causa di una mancanza di ossigeno durante l’aborto, ha riportato una paralisi cerebrale. Poteva solo stare sdraiata e i medici dissero che difficilmente sarebbe stata in grado di camminare. In seguito alla sua forza di volontà e una serie di interventi oggi Gianna cammina senza assistenza.

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