La coilocitosi indica la probabilità di una infezione da Papillomavirus. Per confermare la diagnosi, tuttavia, è necessario sottoporsi ad un Virapap. Si tratta di un prelievo vaginale, in modo da individuare l’eventuale presenza del papilloma, ma anche per identificare il ceppo.
Coilocitosi
Il termine coilocitosi deriva dal greco coilòs, falce, e indica un’alterazione appunto a falce, come è visibile con un microscopio ottico, che si riscontra nelle cellule che vengono prelevate con il pap-test. La coilocitosi rivela una infezione da Papillomavirus. A conferma o meno della diagnosi, si effettua poi un prelievo vaginale, in modo da individuare l’infezione stesse e il ceppo cui appartiene. Nel caso in cui si tratti di una forma benigna, saranno individuati i ceppi 6 e 11. Mentre, si parla di una forma oncogena, per cui che sia potenziale causa di tumori, solitamente intacca il collo dell’utero, la vagina, la vulva, l’ano, ma anche la bocca.
Se necessario, si eseguono ulteriori esami come, la colposcopia e la biopsia del collo dell’utero. Questi vengono eseguiti nel caso in cui il pap-test dovesse evidenziare, sia la coilocitosi, che importanti alterazioni cellulari date proprio dal Papillomavirus.
Il Papillomavirus rientra nella categoria dei virus trasmissibili per via sessuale. In caso di riscontro positivo del test, sarà opportuno anche sottoporre ad esami il partner. Va precisato come, l’esame dei genitali esterni del maschio, solitamente, risulta positivo nel 50-58% dei casi. Questo è dato dal fatto che gli uomini sono portatori sani, per cui, il virus è presente nel DNA degli spermatozoi, sebbene non dia segnali visibili.
Cosa sono i coilociti
I coilociti sono delle cellule epiteliali displastiche che sono, quindi, state infettate dal virus HPV, il cosiddetto Papillomavirus. Per displasia si intende uno sviluppo anomalo o alterato delle cellule. Infatti, quelle displastiche sono cellule diverse da quelle normali. Il loro comportamento nell’organismo appare anomalo. Non seguono più le naturali regole fisiologiche cui sono normalmente sottoposte le cellule epiteliali che rivestono la superficie del collo dell’utero. Le cellule displastiche, inoltre, tendono a moltiplicarsi senza limiti e in modo assai veloce, tale da indurre alla formazione di nuovi vasi capillari.
A ciò si aggiunge il fatto che siano particolarmente resistenti, in quanto, mettono intorno alla loro membrana cellulare uno strato di cheratina . Si parla così di cheratosi displastica, una infezione virale. Il Papillomavirus ha un ciclo per così dire anomalo, un ciclo oncogeno che, una volta annidatosi nella cellula, libera il proprio DNA che entra all’interno del nucleo della cellula, fondendosi con il DNA della cellula stessa. Ciò che ne risulta è una cellula capace di generare il cancro del collo dell’utero.
Come si cura la coilocitosi
Sottoponendosi ad attenta valutazione diagnostica, dopo un riconoscimento microscopico di queste lesioni al collo dell’utero, è possibile individuare il corretto trattamento da intraprendere. Solitamente, si tratta di interventi chirurgici conservativi della funzione dell’utero stesso. Ciò che si tenta di fare è impedire la degenerazione di queste cellule in senso neoplastico. Il Papillomavirus colpisce per lo più le donne giovani, intorno ai 25-35 anni, ma in alcuni casi anche prima. In gran parte dei casi l’infezione è asintomatica e il sistema immunitario reagisce tenendo sotto controllo il virus.In altre pazienti, tuttavia, il virus provoca delle alterazioni cellulari riscontrabili eseguendo un Pap Test.
In alcuni casi è necessario sottoporre la paziente anche a colposcopia e biopsia per avere informazioni certe inerenti lo stato dell’infezione del virus HPV.
Il cancro al collo dell’utero è causato dal Virus HPV, se questo manca, il cancro non può svilupparsi. Per cui, dinanzi ad un Pap Test alterato, solitamente si effettua anche una Tipizzazione HPV che indica quali ceppi virali sono presenti. Non tutti i ceppi di virus HPV provocano il cancro. Alcuni sono innocui, ceppi a basso rischio.
Oggi vi sono al vaglio nuove terapie e vaccini come quello per l’HPV. Ad oggi, circa il 70%, ed anche più, delle donne affette da infezione da virus HPV, può guarire spontaneamente, anche senza alcuna terapia, nell’arco di circa due anni. Mentre, per il trattamento del Papillomavirus sono stati proposti nuovi farmaci, per cui, è ipotizzabile che nei prossimi anni, possano cambiare anche i protocolli di cura.