Induzione al parto: perchè, quando farla, come avviene

L’induzione al parto, quando necessaria, viene eseguita con iniezioni, particolari massaggi e manipolazione con le mani o attraverso l’introduzione di cateteri. Ecco qui indicati tutti i vari modi con cui può essere praticata e quando se ne richiede l’intervento. Esistono, tuttavia, anche dei rischi da considerare. Vediamo di saperne di più in merito.

Induzione al parto

Se si giunge alla data presunta del parto e il bambino ancora non vuol proprio saperne di nascere, bisogna cercare di capire cosa staa accadendo. Solitamente dopo 40 settimane si fa trascorrere ancora una settimana e mezza prima di ricorrere a ciò che viene indicato come induzione al parto. Si tratta di tutta una serie di manipolazioni e protocolli medici per accelerare la nascita del bambino.

Ogni donna presenta una sua particolare formazione ossea a livello di bacino. Un bimbo che dovesse restare nel grembo materno per un periodo maggiore di quello necessario, potrebbe diventare grosso a tal punto da avere poi difficoltà a passare attraverso il bacino della madre al momento del parto. Questo comporta rischi sia per il bambino che per la madre. Vi sono, tuttavia, anche altre situazione che richiedono il ricorso a un parto indotto, quali ad esempio una mancata crescita del feto in grembo durante l’ultima fase gestazionale.

Perchè e quando farla

E’ necessario ricorrere all’induzione al parto quando la gravidanza dovesse protrarsi oltre le 41 settimane e 5 giorni, non solo, anche quando vi sia una rottura delle membrane e conseguente perdita di liquido amniotico ancora prima dell’inizio del travaglio oppure quando la quantità di liquidi sia scarsa o insufficiente. In qualunque caso la cosa migliore da fare per la futura mamma è quella di stare serena e affidarsi alle indicazioni e cure del proprio ginecologo o dell’ostetrica che segue la gravidanza. Saranno loro a valutare il da farsi e se sia necessario o meno ricorrere a un travaglio indotto o meno.

Cosa valutare prima del parto indotto

Quando il travaglio non avviene in maniera spontanea si deve ricorrere al parto indotto. Questo può avvenire essenzialmente in due modi: o tramite somministrazione farmacologica o attraverso manipolazione. Prima di procedere e decidere quale tecnica adottare viene generalmente eseguito un test che, in relazione a dei punteggi relativi a dilatazione utero, posizione bambino e altro, stabilisce in che modo si debba procedere per tutelare la sicurezza della madre e del bambino. Se il punteggio ottenuto è superiore a 7, si procederà con somministrazione di farmaci per poi procedere con la rottura del sacco amniotico. Quest’ultima è una metodologia non condivisa da tutte le strutture, spesso si preferisce, infatti, inserire nel collo dell’utero una strisciolina contenente ormoni che hanno come effetto quello di favorire il travaglio. Se il punteggio è inferiore a 7 allora si procederà con l’inserimento di un catetere che dia inizio al travaglio, gonfiando il palloncino che è all’interno del catetere stesso. In alternativa vengono manualmente staccate le membrane dal collo dell’utero, in modo da facilitarne la rottura e dare il via alla fase del travaglio.

Come evitare l’induzione al parto

Tutto questo chiaramente comporta in qualche modo un trauma per la futura mamma, ancor più se il tutto si traduce in un fallimento e risulta anche necessario ricorrere al cesareo. Spesso il ritardo del parto è solo una questione mentale, per cui sarebbe più indicato aspettare che la natura possa fare il suo corso. Può accadere che la mente e il corpo abbiano necessità di maggior tempo per accettare l’idea del dolore e il fatto che il bambino si stacchi dalla madre. Tutto ciò ha bisogno della sua elaborazione psicologica e il travaglio sarà difficile che avvenga spontaneamente se la madre non è rilassata. Resta comunque imprescindibile il diritto della donna di rifiutarsi di accettare le tecniche di un parto indotto, a meno che non vi sia un’emergenza in atto.

Nel caso in cui la donna dovesse rifiutarsi di sottoporsi alle tecniche di induzione al parto, una volta che le saranno indicati tutti i possibili rischi per la sua salute e quella del bambino, potrà firmare il consenso che sarà riportato sulla sua cartella clinica. Per evitare di dover ricorrere a un parto indotto il metodo migliore sarebbe quello di consultare una psicologa che aiuti il soggetto a liberarsi da tutte le sue paure, ma anche fare attività fisica, in modo da far rilassare la mente, rendendo anche il corpo più elastico in preparazione al parto.

I rischi

Trattandosi pur sempre di una procedura farmacologica o comunque non del tutto naturale ma indotta bisogna tener conto della possibilità di un certo margine di rischio. Vi sono soggetti sui quali non è possibile procedere con l’induzione al parto, soprattutto se in passato abbiano avuto casi di emorragie. Per scongiurare quindi qualunque rischio sia per la mamma che per il feto si tiene sotto stretto controllo il battito cardiaco del piccolo, le sue funzioni vitali e le contrazioni della madre. L’induzione al parto è assolutamente da evitare quando il travaglio è già iniziato, se il bambino è in posizione podalica, se si registrano alterazioni nel suo battito o nelle contrazioni dell’utero, oppure se la placenta non si trova in una posizione tale da permettere il parto naturale.

Nascita del bambino

Le tecniche di induzione al parto durano fino a che il travaglio non ha effettivamente inizio. Pertanto non è possibile indicare in maniera esatta dopo quanto tempo nasce il bambino. Bisogna anche considerare la possibilità che le tecniche falliscano, per cui è necessario ricorrere a un taglio cesareo. Con l’induzione farmacologica al parto, viene somministrato un medicinale molto forte, partendo da dosaggi ridotti per poi aumentare e far reagire l’utero per prepararsi al travaglio. Mediamente questa tecnica richiede da due a quattro ore circa. Se si procede invece con la strisciolina di ormoni, questi verranno lasciati nel collo dell’utero per circa 12 ore o anche più, si attende poi che questi facciano il loro effetto. Anche nel caso dell’inserimento di un catetere per ottenere il distaccarsi delle membrane, bisogna attendere circa 12 ore.

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